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Che l'ex boss Franco Pino sia stato protagonista indiscusso degli anni '80 e inizi anni '90 del romanzo criminale Bruzio è fuor di dubbio alcuno.


Ritornato alla ribalta della cronaca per il suo recente arresto a Trento per la condanna definitiva ed esecutiva in Cassazione ad otto anni di reclusione per il duplice omicidio del febbraio 1986 di Marcello Gigliotti e Francesco Lenti dopo ben 30 anni dal suo pentimento avvenuto nel 1995, tante sono le storie che da protagonista ne hanno caratterizzato i suoi anni da capo incontrastato, per ben 18 anni dal 1977 al 1995.


Una di queste che ne pone in risalto non solo la grande astuzia ed intelligenza che lo poneva molto al di sopra dei suoi compari e che, accompagnata ad una dose di fortuna, gli hanno consentito di rimanere in vita nonostante fosse il bersaglio principale da parte della fazione avversa, quella capitanata dal boss Franchino Perna.


Scontro che lasciò sulle strade della città decine e decine di morti, per lo più giovani e giovanissimi.

Solo nel 1981 i morti a Cosenza nella guerra fra le opposte fazioni furono ben 19.

Franco Pino, non frequentava solo i suoi compari di cordata, ma soleva - per come racconta lui stesso - "frequentare anche la cosiddetta alta borghesia cosentina", che ovviamente non disdegnava di essere amica del capo indiscusso.

L'ex boss Franco Pino, oggi collaboratore di giustizia

Fra l'alta borghesia vi era anche un personaggio molto noto negli anni '70 e '80 per la sua bellezza e per la sua ricchezza, essendo un grande imprenditore dell'alta moda conosciuto anche fuori dai confini nazionali.


Il noto personaggio aveva anche e purtroppo una forte dipendenza dall'uso abituale di cocaina, al punto tale di maturare con i fornitori un cospicuo debito da onorare.

E sembra che tale personaggio in un momento di difficoltà economica cedette a Franco Pino che non disdegnava la bellezza e l'arte la sua raccolta, probabilmente ereditata dallo zio fondatore dell'attività imprenditoriale allora di grande successo, ben 14 quadri di immenso valore a firma di artisti del livello di Salvador Dalì, Joan Mirò e Renato Guttuso.


Quattordici tele che nei primi anni '90 erano valutate oltre tre miliardi di lire e che oggi orbitano intorno al valore di oltre dieci milioni di euro.

Tali dipinti vennero imballate con cellophane antiurto e conservate dal boss Franco Pino in un garage segreto che solo lui conosceva.

Magari lo stesso boss dagli occhi di ghiaccio consapevole del loro enorme valore pensava di far passare del tempo e poi rivenderle nel mercato nero dell'arte, da sempre foriero di giri di milioni e milioni di euro.

Ma quando nel 1995 Franco Pino prese la decisione di passare dalla parte dello Stato anche in conseguenza dell'operazione giudiziaria denominata "Garden" gestita dalla Direzione Distrettuale Antimafia, DDA, di Catanzaro con 120 arresti all'alba del 10 ottobre 1994 in seguito alle dichiarazioni di alcuni pentiti,  divenendo esso stesso collaboratore di giustizia pensò bene di incaricare un suo fedelissimo di recuperare le tele per consegnarle alle Autorità.

( nella foto di apertura la cella degli imputati nell'Aula bunker del maxiprocesso Garden in Via degli Stadi, oggi non più esistente )  

Magari convinto che avrebbero potuto ritornare in suo possesso per come era avvenuto con i 700 milioni in contanti che lo stesso Pino aveva depositati su un libretto bancario in una banca del centro cittadino e che da pentito, accompagnato da un esponente delle Istituzioni, riprese dalla banca stessa.

Fatto che suscitò ampie polemiche e anche numerose interrogazioni parlamentari ma che evidentemente era una delle tante condizioni concordate con lo Stato nella trattativa per divenire collaboratore di giustizia.

Ma le tele non ebbero la stessa sorte dei 700 milioni.

Dell'ipotizzata consegna non esiste alcuna traccia, alcun verbale e dei quadri stessi non si ha notizia alcuna.

E della veridicità di tale racconto ne è prova la dichiarazione del legale di Franco Pino, l'avv. Vittorio Colosimo, che nel 2020 affermò che "Si tratta di dipinti di grande valore che il mio assistito non ha più rivisto dopo l’inizio della collaborazione con la giustizia. Presenteremo formale denuncia alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro perché s’indaghi sulla loro fine».

Intanto negli Uffici giudiziari del Distretto della Procura Antimafia di Catanzaro non sembra esservi alcun atto ufficiale di consegna dei quadri ad Autorità dello Stato.

"Sono trascorsi ben 25 anni - disse allora nel 2020 l'avvocato Vittorio Colosimo - e vogliamo conoscere la verità".

Non è dato sapere se dal 2020 ad oggi, trascorsi altri 5 anni, le tele siano state recuperate o almeno si sia chiarito che  fine abbiano fatto.

L'ennesimo mistero insoluto di un pentimento che all'epoca fece grande scalpore e che segnò la fine di una fase storica e caratterizzata dal piombo del romanzo criminale Bruzio.

Dal 1995 iniziò l'era del pentitismo che a Cosenza ebbe grande fortuna.

Si ipotizza che da allora ad oggi oltre 190 gli esponenti criminali che a Cosenza sono passati dal mondo oscuro allo Stato.

Un record nazionale che supera il numero dei pentiti della Camorra napoletana, della mafia siciliana e della 'ndrangheta reggina.

E che conferisce a Cosenza  il record nazionale della Città con più pentiti in Italia.

Redazione


Editoriale del Direttore