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Franco Pino, protagonista indiscusso della storia della malavita cosentina dal 1977 al 1995, è stato arrestato dai Carabinieri di Trento, all'età di 73 anni, per una condanna a 8 anni, divenuta in Cassazione esecutiva e definitiva, per duplice omicidio.

 
La storia è quella del duplice omicidio di due giovani, Marcello Gigliotti e Francesco Lenti.
 
Due giovani che, appartenenti allo stesso clan guidato da Franco Pino, hanno pagato con la vita la loro audacia e la loro indipendenza nel commettere reati senza l'assenso del capo - clan.
 
Francesco Lenti venne addirittura decapitato e Marcello Gigliotti venne torturato prima di essere ucciso. I loro corpi vennero ritrovati in Sila sepolti dalla neve.
 
Ritrovamento dei corpi di Marcello Gigliotti e Francesco Lenti
 
 
Erano gli anni '80, gli anni della Città Oscura, gli anni dei morti ammazzati e della feroce guerra di mafia fra il boss Franco Pino da una parte e il boss, Franchino Perna, dall'altra, irriducibile, oramai 84enne, e detenuto dal 1995, cioè da ben 30 anni, mai pentitosi.
 
Erano gli anni in cui si sparava per le strade, erano gli anni in cui oltre 50 auto blindate spadroneggiavano nei quartieri, gli anni in cui i blitz, come quello scaturito dal dichiarante Antonio De Rose ( allora non si chiamavano pentiti) del 14 maggio 1986 con 179 mandati di cattura, finivano in una bolla di sapone.
 
Tutti gli imputati vennero scarcerati dopo pochi giorni, i reato di associazione mafiosa non venne riconosciuto e le dichiarazioni di Antonio De Rose vennero annullate perchè valutato insano di mente e quindi inattendibile.
 
Salvo poi, nove anni dopo, poter constatare che le veritiere dichiarazioni del De Rose collimavano con quelle di Franco Pino, dopo essere divenuto collaboratore di giustizia.
 
Addirittura non servì a nulla il fatto che il De Rose fece rinvenire i corpi di due assassinati dai clan dei quali non si sapeva neanche che fossero morti.
 
E nonostante la indubbia solidità delle sue dichiarazioni una Magistratura profondamente corrotta e collusa ne vanificò il sacrificio.
 
Lo stesso De Rose, oggi non più vivente, visse il resto della sua vita nell'inedia e nella povertà, abbandonato da tutti.
 
Erano gli anni nei quali a Cosenza venivano accolti e protetti boss latitanti da Reggio Calabria e Palermo che hanno fatto la storia della criminalità.
 
Erano gli anni dove  vi erano politici che, addirittura, ancora sostenevano che la mafia a Cosenza fosse solo una invenzione di giornalisti mitomani e bugiardi e che i morti ammazzati erano solo guerre fra ragazzi sbandati e di bande di quartiere.
 
Erano gli anni in cui i cosentini adoravano i boss.
 
E lo stesso Franco Pino, in una delle sue tante interviste rilasciate dopo il suo pentimento, afferma:
 
" Per Cosenza ero importantissimo. C'erano pezzi grossi che mi sostenevano. E poi non è che voglio passare per Robin Hood, però quando la mattina davanti alla Boutique dei Fiori (ndr l'attività di copertura del boss e quartiere generale in Via dei Mille) arrivavano 100 persone con 100 problemi diversi e io riuscivo a risolverne 70 - 80, beh, mi ci sentivo.
 
Mi alzavo alle 6 di mattina e alle 6.10 ero già alla Boutique dei Fiori. Passavano tutti. (.... )."
 
"La Città Oscura - Cosenza e il suo racconto criminale" - Falco Editore, 2010
 
" Quando ero in carcere - si legge ancora nell'intervista - e mi aveva fatto arrestare qualcuno, quante lettere mi arrivavano in cui mi dicevano chi mi aveva fatto arrestare o chi aveva avvisato la polizia. Io non sapevo chi fosse questa gente. Me lo mandavano a dire perchè mi volevano bene, non perchè volevano soldi in cambio".
( Da "La Città Oscura - Cosenza e il suo racconto criminale" Edizione Falco - II* Edizione anno 2010 di Gianfranco Bonofiglio ).
 
Chi scrive da studioso del fenomeno criminale sin dal lontanissimo 1983, anno in cui da studente universitario sosteneva ben due esami presso la facoltà di Scienze Economiche e Sociali dell'UniCal con il Prof. Pino Arlacchi, sulla evoluzione della criminalità e sulla sua trasformazione in "mafia Imprenditrice", negli anni 80 e '90 ha redatto centinaia di articoli e anche qualche libro sulla storia criminale cosentina di quegli anni.
 
Il Prof. Pino Arlacchi con i giornalisti Michele Cucuzza e Gianfranco Bonofiglio in un convegno su "La Mafia Imprenditrice"
 
 
Ma uno studio che non si ferma solo alla cronaca dei fatti ma si sofferma sull'humus culturale e sociale di una cittadina del Mezzogiorno che, nonostante la presenza di politici di rilevanza nazionale e di una storia di intellettuali di prestigio, è intrisa capillarmente di quella cultura dell'illegalità e della divinizzazione del criminale, quale uomo vincente, da stimare e ammirare.
 
E nessuno come Franco Pino ha saputo attirare su se stesso quel sentimento popolare del boss al quale rivolgersi per risolvere qualsiasi problema personale.
 
Dal recupero dell'auto rubata, dalla restituzione di quanto rubato nel furto del proprio appartamento, dalla mediazione per ottenere uno sconto sulla richiesta di una tangente, dall'ottenere un prestito ad usura magari con un tasso più accettabile, dall'assunzione al Comune o in qualche cooperativa e così via.
 
Un vero "padrone della città", un vero "Sindaco" che riporta alla memoria i famosi "Sindaci" del rione "Sanità" di Napoli dipinti magistralmente in Teatro dal grande Peppino De Filippo.
 
Ed è in questa ottica che ancora per taluni perdura, nonostante dal passaggio di Franco Pino dalla criminalità allo Stato  siano trascorsi ben 30 anni, il mito del boss dagli occhi di ghiacco.
 
Infatti la notizia dell'arresto dell'ex boss ha fatto centro e per come cantava il grande Fabrizio De Andrè nella sua meravigliosa "Bocca di Rosa", "una notizia un po' originale non ha bisogno di alcun giornale. Come una freccia dall'arco scocca. Vola veloce di bocca in bocca".
 
Ma per ben inquadrare sia il periodo storico di quegli anni e sia il ruolo effettivo che Franco Pino esercitò da capo indiscusso è interessante leggere un libro nei quali sono riportati gli atti in cui lo stesso Franco Pino parla in prima persona raccontando minuziosamente la sua storia.
 
Il libro è stato scritto da Pino Nicotri, giornalista di lungo corso, corrispondente dal Veneto del quotidiano "La Repubblica", tra i fondatori de "Il Mattino di Padova" e de "La Tribuna di Treviso" e per ben 35 anni giornalista de "L'Espresso", oltre ad essere l'autore di numerosi libri - inchiesta.

Il libro, "Il boss dagli occhi di ghiaccio - Le confessioni di un grande capo della 'ndrangheta", edito dallo stesso autore nel 2020, di ben 250 pagine, è il racconto della vita di Franco Pino dagli anni della sua giovinezza sino al 1995, l'anno in cui, allora aveva 43 anni, decide di saltare il fosso e di passare da boss di prima grandezza ad importante collaboratore di giustizia. 
 
"Il Boss dagli occhi di ghiaccio" di Pino Nicotri, 2020
 
Un racconto avvincente di un uomo che giovanissimo, a soli 25 anni in seguito all'omicidio di Luigi Palermo detto "U Zorru" avvenuto il 14 dicembre 1977, conquista i galloni di capo.
 
L'omicidio di Luigi Palermo nel 1977 che segna l'avvio del dominio criminale di Franco Pino
 
Non è solo il racconto minuzioso e dettagliato dei tantissimi omicidi che insanguinarono la città durante la prima guerra di mafia nello scontro fra i gruppi che si contendevano la città, ma è anche e soprattutto il racconto degli intrecci con la politica, con il mondo degli appalti, con i partiti, con le istituzioni, con pezzi della magistratura, con collusi delle forze dell'ordine.
 
Ed è anche il dipinto di una città dove l'illegalità regna sovrana, dove la cultura mafiosa è la padrona, dove non esiste alcun anticorpo alle mafie, dove non vi è alcun valore dell'onestà e dell'osservanza delle leggi. 
 
Dove lo Stato è un nemico e dove la regola aurea è solo quella di ingraziarsi il potere per trarne sempre il massimo profitto.
 
In anni in cui si viveva il boom economico, dove si costruivano i palazzi, dove i soldi giravano a fiumi, dove i soldi pubblici erano destinati nella loro gran parte a tangenti e ad alimentare quel sottobosco nella quale la criminalità cresceva e prosperava, più di quanto gli stessi criminali potessero sperare. 
 
Nel libro si racconta "il tentativo di trasformare in 1.500 miliardi di lire i quintali di carta filigrana fatti sparire dalla zecca di Stato e  - per come afferma il giornalista Pino Nicotri in una sua intervista sul libro rilasciata al quotidiano on - line blitzquotidiano.it  - conservate nei sotterranei del Vaticano".  
 
"Franco Pino voleva modernizzare la 'ndrangheta e voleva - racconta ancora Pino Nicotri nell'intervista - che finisse l'epoca degli omicidi e delle sparatorie
 
Voleva si puntasse invece sugli appalti di tutti i tipi, privati e pubblici, per lucrare buone percentuali dei capitali investiti offrendo in cambio protezione e tranquillità durante la realizzazione dei lavori appaltati. 
 
Mettendosi d'accordo con largo anticipo coi politici, progettisti, imprenditori e manager, il boss dagli occhi di ghiaccio aveva varato quella che lui chiamava “procedura paralecita”: ottenuti gli appalti, decideva a chi distribuirli sul territorio facendo in modo che venisse impiegata sempre manodopera locale, in modo che potesse “portare il pane a casa” anziché vedere arrivare operai e impiegati da altre località, magari neppure calabresi.  
 
"Dalla narrazione di Franco Pino viene fuori uno spaccato allarmante. Uno spaccato che purtroppo però - continua il giornalista Pino Nicotri - non è solo della società calabrese… Ne emerge infatti che le grandi associazioni criminali senza complicità nel resto dell’intera società non potrebbero esistere: sarebbero pesci privi dell'acqua nella quale nuotare e grazie alla quale respirare. 
 
Il malaffare e la corruzione che sempre l'accompagna si infiltrano e si diffondono come un cancro. 
 
Realtà sempre più confermata dalle cronache del BelPaese. 
 
Sotto questo profilo è divertente notare che a un certo punto il boss ha aperto e man mano ingrandito con due suoi amici la Boutique dei Fiori, diventata il suo quartier generale.  
 
Dalla Boutique dei Fiori partivano condanne a morte, attentati, ordini di rappresaglia, e nella Boutique dei Fiori si decidevano estorsioni, grassazioni, alleanze, guerre, tregue e i periodi di pace. 
 
Vi arrivavano in visita “di lavoro” boss amici e nemici anche dal resto della Calabria, uomini d'onore, politici in cerca di voti e di favori mortali, imprenditori in cerca di protezione.
 
E tra i clienti, quelli che si limitavano a comprare fiori, piante, corone di laurea, corone per funerali, e ordinare addobbi per le più svariate occasioni, feste e ricorrenze, compresi i ricchi addobbi per la visita in città di papa Wojtyla il 6 ottobre ’84, non mancavano poliziotti, carabinieri, direttori del carcere locale, militari della Finanza… 
 
Tutti trattati coi guanti gialli da ricambiare all'occorrenza con qualche favore compiacente, dalle soffiate ad altro ancora". 
 
"A porre fine all’epopea  'ndranghetista - conclude Pino Nicotri - non solo del boss dagli occhi di ghiaccio, fatto segno per tentare di ucciderlo a tre sparatorie, due delle quali mentre era in carcere, e al suo sogno di modernizzazione, sarà l’eccesso di crudeltà. 
 
Crudeltà per giunta inutile. Che convincerà più d’uno a saltare il fosso e vuotare il sacco dai magistrati per salvarsi la pelle".  
 
Nel libro si delineano i contorni di una città corrottissima, dove la cultura mafiosa è imperante. 
 
Una città con gran parte della magistratura compiacente, con politici che facevano la fila per chiedere favori al boss, con professionisti che speravano di tessere un rapporto confidenziale.
 
Una realtà incredibile che trascinò Cosenza nell'oscurità di una guerra di mafia dove caddero anche poveri innocenti colpiti da proiettili vaganti che in una città crudele come Cosenza nessuno ne ricorda neanche quale nome avessero. 
 
Tutti coloro i quali erano da contorno alla criminalità di quel periodo rimasero impuniti. Molti non vi sono più, altri ricoprono ruoli importanti ancora oggi. 
 
Franco Pino da pentito fece i nomi di tanti notabili della città che erano a lui compiacenti. Ovviamente rimasero parole vuote. Tutte le dichiarazioni divennero non degne di affidabilità. Tutto venne insabbiato nel più degno copione del "Porto delle Nebbie". 
 
La stagione di Franco Pino finì.
 
Oggi è un signore che il prossimo 26 marzo compirà 73 anni, senza più alcuna protezione, cessata dopo venti anni dal pentitismo e, per giunta, raggiunto da una condanna di 8 anni dopo ben 30 anni dalla sua decisione di collaborare con la giustizia.
 
La criminalità di oggi, molto più forte dei tempi di Franco Pino, non spara più. 
 
"La mafia Imprenditrice" di Pino Arlacchi, Edizioni Il Mulino, 1983
 
E' oramai una criminalità imprenditrice. Ha conquistato i ruoli sociali più importanti. Non ha più bisogno di rapine, di morti e di clamore. 
 
Gestisce gli affari, investe in attività apparentemente lecite. Ha conquistato gran parte dell'economia gestendo in forma monopolistica tante attività imprenditoriali. 
 
Continua a gestire il grande affare del mercato della droga. Sempre impunita e sempre protetta. In realtà ha vinto. 
 
Ha scalato la società. E' uscita dal ghetto dei quartieri popolari. 
 
E' oggi la nuova borghesia rampante. 
 
I figli sono medici, imprenditori di successo della sanità, commercialisti.
 
Il passo è compiuto. 
 
La scalata sociale, costruita sul piombo e su tanti morti con la complicità dello Stato corrotto, ha dato i suoi frutti. 
 
I tempi del "boss dagli occhi di ghiaccio" sono definitivamente tramontati.
 
Oggi non gli resta altro che scontare la sua condanna.
 
Chissà se oggi non si sia fortemente pentito di essersi pentito.

Redazione

Editoriale del Direttore