Il quadro che ritrae Matteo Messina Denaro, deceduto da qualche giorno dopo la cattura del 16 gennaio scorso, appeso nel salotto della casa della madre, Lorenza Santangelo, vedova del boss Francesco ( Don Ciccio) Messina Denaro, porta con se una storia di mistero come per tutto ciò che riguarda i 30 anni di latitanza dell'ultimo dei corleonesi.
Fonte: La Voce, quotidiano d'informazione,
Il quadro è stato dipinto dall'ex modella e pittrice Flavia Mantovan insieme ad altre "facce di mafia".
L'ex modella e famosa pittrice ed artista Flavia Mantovan
Nel 2009 era esposto al museo di Salemi dedicato a Cosa Nostra. Vittorio Sgarbi era il sindaco del comune. L’assessore era Oliviero Toscani. La distanza fra Castelvetrano e Salemi, ambedue comuni della provincia di Trapani è di soli 28 chilometri. Il quadro venne acquistato da un misterioso compratore.
Ma la storia vera del quadro viene raccontata dalla stessa pittrice, Favia Mantovana, sul quotidiano "La Voce", quotidiano d'informazione di Roma, Cerveteri, Ladispoli ed Etruria meridionale. Ladispoli è la città natale della ex modella e pittrice.
Riportiamo integralmente il racconto della pittrice pubblicato dal Quotidiano "La Voce" nell'edizione del 29 gennaio 2023:
“Quel dipinto lo realizzai nel 2005 insieme a tutta la serie delle facce di mafia su proposta del gallerista Arzenta di Horti Lamiani a Roma.
Tutto avvenne in occasione dell’ arresto di Provenzano e allora come ora tutti i giornali pullulavano di immagini e racconti di mafia.
A quel tempo dipingevo modelle giusto per divertimento, avevo una solida carriera come modella alle spalle.
Quella di dipingere i volti dei mafiosi fu una vera e propria sfida pittorica, erano permeati da tutt’altra luce, tuttavia accettai volentieri perché ero incuriosita, come scrisse Vittorio Sgarbi in catalogo “nihil humanum a me alienum puto”.
I quadri quindi vennero realizzati e inizialmente l’idea del gallerista era di trovare il modo di esporli in una sede istituzionale, poi il tempo passò e lì per lì non se ne fece nulla e io continuai a dipingere altri soggetti legati al mondo delle riviste patinate.
Tra una mostra e l’altra conobbi il famoso fotografo americano David LaChapelle a Roma.
Questi mi volle come musa per alcune sue foto da realizzare in America.
Negli Stati Uniti è circondato da una fama estrema, il suo immaginario pop e il suo passato da assistente di Andy Wharol già bastano a capire la portata della sua arte.
Poi fu il momento di New York, li le lezioni d’arte e di vita furono molte, è una città veloce, bisogna cogliere l’attimo, farsi valere e stare sempre pronti, tutto avviene in un modo rapido e se si traccheggia si resta indietro.
In uno dei viaggi di rientro in Italia appresi da una rivista che Sgarbi voleva aprire il museo della mafia a Salemi, dove era diventato sindaco, e così, memore della lezione americana, lo contattai immediatamente e gli inviai le foto dei quadri già pronti da anni.
Sgarbi li trovò adatti, fu una circostanza del tutto fortuita di fatto, e nel giro di pochissimo tempo si inaugurò, in preapertura del museo della mafia, la mostra “facce di mafiosi”.
Il titolo fu lanciato da Oliviero Toscani che allora era assessore alla cultura e la mostra venne curata da Sgarbi che ne scrisse il testo in catalogo.
Dunque il quadro di Messina Denaro- racconta ancora la pittrice ed ex modella di Ladispoli, Flavia Mantovan - venne esposto lì nel 2009 e di nuovo l’anno successivo per l’apertura ufficiale del museo e in pompa magna con molti altri artisti e con la presenza dell’allora Presidente Giorgio Napolitano.
Sapevamo che la mostra avrebbe fatto scalpore, ma avevamo delle buone intenzioni, Sgarbi sosteneva che “la finalità era storicizzare la mafia e chiuderla in un museo”, per non dimenticare, perché i visitatori trovandosi faccia a faccia con quei volti potessero trovare spunto di riflessione, provare un emozione, confrontarsi con la paura.
Poi dopo un po’ di tempo un altro gallerista sempre romano, Carmine Siniscalco, con cui avevo fatto molte mostre in Italia e pure la biennale del Cairo in Egitto, mi disse che aveva ricevuto una richiesta di acquisto per quel ritratto di Messina Denaro.
Gli dissi di mettersi in contatto con l’altro gallerista di Horti Lamiani che ne era proprietario e così poi chiusero la vendita tra di loro.
Dopo un po’ di tempo, successe che Sgarbi nominato curatore del padiglione Italia alla biennale di Venezia decise di portare in laguna pure sette dipinti delle facce di mafiosi esposti a Salemi incluso il ritratto di Messina Denaro.
Così chiesi al gallerista Siniscalco se poteva contattare l’acquirente di quel dipinto, per poterlo mandare in biennale, ma l’esito fu negativo, e così ne dipinsi una seconda versione, con altre particolarità.
Poi tutto il resto è storia, in ogni caso ci tengo a ringraziare Vittorio Sgarbi sia per la fiducia che mi ha concesso sin dai miei esordi, permettendomi di esporre in queste mostre, sia per come in questi giorni abbia chiarito, in tv e sui giornali, che è normale che i quadri una volta venduti non è dato sapere né all’artista, né al gallerista, su quali pareti poi effettivamente arrivino”.
Fonte: La Voce, quotidiano d'informazione,
Edizione del 29 e 30 gennaio 2023