Oggi è il 21 marzo, la Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, istituita per commemorare coloro che hanno perso la vita a causa della criminalità organizzata.
E la redazione de lavocecosentina.it in occasione della giornata dedicata alle vittime innocenti cadute per mano mafiosa vuole ricordare un giovane del quale mai nessuno si è ricordato.
Un giovane morto per essere nel posto sbagliato e nel momento sbagliato e morto perfino in una città impregnata di cultura mafiosa e clientelare dove le battaglie per la legalità, la memoria dei caduti innocenti e la cultura per la legalità non hanno mai avuto alcuna fortuna.
Cosenza, una città oscura, dove l'illegalità e soprattutto il terzo livello degli insospettabili colletti bianchi ha sempre avuto il potere e sempre l'avrà.

"La Città Oscura - Cosenza e il suo racconto criminale" di Gianfranco Bonofiglio ( Falco Editore - 2° Edizione - 2010 )
Un giovane di soli 33 anni che nel lontano 23 luglio del 1981 passava per caso su Corso Plebiscito con la sua autovettura, una Fiat 128.
Salvatore Altomare venne colpito casualmente ed ucciso da un proiettile vagante che lo freddò all'istante.
Uno dei tanti proiettili sparati da sicari professionisti per uccidere Carletto Rotundo che era appena sceso dalla sua autovettura, una Alfetta blindata, personaggio di spicco della criminalità cosentina, nell'anno della guerra criminale al suo culmine.
I sicari agirono a volto scoperto, non erano cosentini ma napoletani.
In quegli anni di guerra di mafia spesso killer cosentini andavano a Napoli a compiere omicidi e killer napoletani scambiavano il favore eseguendo ordini di morte a Cosenza.
Era il 1981, l'anno nel quale si registrarono nella città di Cosenza ben 136 rapine e 19 omicidi.
Non vi era giorno in cui non si compivano reati praticamente dappertutto.
Erano gli anni in cui oltre 50 auto blindate sfrecciavano per le strade.
Erano gli anni in cui gli azionisti del gruppo Pino - Sena e gli azionisti del gruppo Perna - Pranno si cercavano e si scontravano per vincere una guerra che mieteva vittime su vittime.
Erano gli anni in cui nella Procura cosentina il reato di associazione mafiosa era ancora da definire ed erano gli anni in cui la Procura certamente non brillava per intransigenza e lotta alla criminalità.
Erano addirittura gli anni in cui molti politici sostenevano che la 'ndrangheta a Cosenza fosse solo una invenzione dei giornalisti fanfaroni e giustizialisti per fare notizia.
Erano gli anni in cui, nonostante i tanti morti ammazzati, si negava anche l'evidenza in un contesto di corruzione generalizzata e di una radicatissima cultura dell'illegalità ed erano gli anni in cui affiorava una classe politica spregiudicata, arrogante e tangentista che avrebbe poi, per i decenni successivi, goveranto tutti e tutto favorendo quella "borghesia mafiosa" che, impunita e protetta, impera sovrana.
In tale contesto sociale inquinato e corrotto vi era anche chi sosteneva che fossero solo delle bande di quartiere in lotta fra loro.
Invece era 'ndrangheta a tutti gli effetti, riconosciuta come locale di 'ndrangheta dai capi storici della ionica reggina, per come dichiarerà nel 1995 il boss dagli occhi di ghiaccio, Franco Pino, da collaboratore di giustizia che in quegli anni era protagonista assoluto nonostante il 1981 avesse solo 29 anni.

Franco Pino, ex boss di Cosenza, oggi collaboratore di giustizia
Il giovane Salvatore Altomare, originario di San Pietro in Guarano, si trovava a Cosenza in vacanza ed era in auto con al suo fianco la giovane moglie e i due figli piccoli.
Doveva comprare un vestitino per la sua figlioletta.
Ben due i colpi che lo attinsero, uno al volto, l'altro sotto l'ascella. Il giovane Salvatore Altomare morì sul colpo.
Lavorava da custode in un museo di Venezia ed era emigrato al nord per vivere onestamente la sua vita.
In un libro scritto dal giornalista Pino Nicotri, "Il boss dagli occhi di ghiaccio - Le confessioni di un grande capo della 'ndrangheta", Franco Pino nelle 250 pagine di racconto dettagliato di tutto il romanzo criminale bruzio dal 1977 al 1995 parla anche dell'agguato a Carletto Rotundo menzionando, senza fare il nome, il triste evento di un innocente morto solo per una terribile casualità.

Il libro scritto dal giornalista Pino Nicotri sulla vita criminale di Franco Pino, collaboratore di giustizia dal 1995
Ma nessuno in una città infame e senza memoria come la città dei bruzi ha mai ricordato la morte di un povero innocente.
Nessuno ha mai pensato di dedicargli una targa, una via, quando a tanti imbroglioni e a tanti corrotti, sopprattutto fra i rappresentanti delle Istituzioni, sono dedicate vie, piazze e vicoli.
Mentre altrove le vittime innocenti di mafia hanno avuto almeno l'onore di essere ricordati a Cosenza nessuno ha mai speso una parola per il giovane Salvatore Altomare.
Una città senza memoria pervasa da una dilagante e diffusissima cultura mafiosa, allora come oggi, con la differenza che allora si sparava e i gruppi erano in guerra per il predominio del territorio ed oggi, invece, non sparano più.
Oggi controllano il territorio nella pace assoluta e sono divenuti tutti imprenditori, tutti personaggi rispettabili, riveriti, osannati e protetti da una politica corrotta e da istituzioni silenti e spesso complici.
Del povero Salvatore Altomare nessuno si ricorda più.
Oggi avrebbe avuto 77 anni se quel maledetto giorno non si fosse trovato, per pura sfortuna, nella traiettoria dei tanti colpi di pistola dei due killer professionisti che si abbatterono su Carletto Rotundo per ucciderlo.
Due killer napoletani, che nel processo di primo grado vennero condannati all'eragastolo, ma nel processo di secondo grado vennero assolti per insufficienza di prove come spesso e sovente accadeva in quegli anni, nonostante le dichiarazioni in merito all'agguato del boss Franco Pino, passato nella schiera dei collaboratori di giustizia.
E Salvatore Altomare non fu l'unico che venne ucciso per puro caso in quegli anni terribili della prima guerra di mafia che scrisse il periodo più cruento del romanzo criminale bruzio.
Anni dei quali in pochissimi ne conservano memoria.
La memoria non ha mai avuto grande fortuna in una città come Cosenza sempre pronta a divinizzare i criminali e a disprezzare gli onesti e, soprattutto, ignorare le povere vittime innocenti.
Redazione