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L'esecrabile atto vandalico compiuto sul lungomare di Vibo Valentia ai danni del monumento dedicato al Capitano Natale De Grazia, richiama l'attenzione, ancora una volta, sulla sua storia e sugli interrogativi della sua morte a soli 39 anni che non sono mai stati chiariti.

 
Natale De Grazia, ufficiale della Guardia costiera, medaglia d’oro al merito di Marina e vittima del dovere è deceduto in circostanze rimaste oscure, almeno ufficialmente.
( Il Capitano Natale De Grazia nella foto di apertura).
 
Il monumento era stato installato l’estate scorsa sul lungomare di Vibo Marina. I vandali hanno agito durante le ore notturne mandando in frantumi la parte superiore del monumento che raffigura un’ancora.
 
Il Belvedere sul lungomare di Vibo Marina, con l’inaugurazione del monumento, porta il nome del capitano Natale De Grazia e la sua intitolazione è stata ufficializzata durante la serata del 27 agosto scorso voluta dall’Amministrazione comunale di Vibo Valentia.

Alla cerimonia aveva partecipato anche il figlio di De Grazia, Roberto, che aveva letto la targa dedicata a suo padre: “al comandante De Grazia che con il suo acume investigativo, seguendo le tracce del male, si è immolato per amore di questa terra e di questo mare”.
 
La storia del Comandante Natale De Grazia e della sua morte si lega a filo doppio alla vicenda delle "Navi dei Veleni".
 
Una "Spi Story" nella quale non manca nessun elemento per la scrittura di una interessante sceneggiatura alla base di un "film" che, probabilmente, potrebbe avere un buon successo di pubblico.

Vi è di tutto. Oltre alla misteriosa morte il 13 dicembre 1995 di Natale De Grazia, vi sono anche le dichiarazioni di un pentito di 'ndrangheta, Francesco Fonti, che in un dettagliato dossier parla dell'affondamento di tre navi dove afferma di aver partecipato direttamente.

Vi è un libro autobiografico, "Io Francesco Fonti, pentito di 'ndrangheta e la mia Nave dei Veleni", scritto dallo stesso pentito e pubblicato nel 2009 da Falco Editore ( casa editrice di Cosenza). 

Il libro autobiografico di Francesco Fonti, pentito di 'ndrangheta deceduto nel 2012, pubblicato da Falco Editore nel 2009

E vi è anche, come in tutte le spy story che si rispettano, la morte prematura del pentito di 'ndrangheta che muore il 5 dicembre 2012 a 64 anni nella sua abitazione in una località protetta, dopo aver vissuto dal 1994 sino al 2012 con il regime di protezione riservato ai collaboratori di giustizia.

Sulle "Navi dei Veleni" sono stati scritti decine e decine di libri, sono stati trasmessi speciali Tv e non solo da parte di emittenti italiane, sono state aperte numerose inchieste da parte di numerose Procure.

Anche la Procura antimafia di Catanzaro guidata dal Procuratore capo, dott. Nicola Gratteri, si è interessata dalla vicenda. Tante la audizioni delle varie Commissioni Parlamentari Antimafia che sono sono succedute da una legislatura all'altra.

Sono trascorsi tanti anni ma nulla di concreto e soprattutto di accertato sul piano giudiziario è mai emerso.

E, ovviamente, dopo tanti e tanti anni nessuno più indaga su questa storia e mai nulla emergerà.

Era il 14 dicembre 1990 quando in località Formiciche, frazione di Amantea ( Cs) spiaggiava in una notte dal mare mosso la nave Jolly Rosso.

Sono trascorsi da allora ben 34 anni e non si è mai chiarito cosa contenesse la stiva della Jolly Rosso.

La nave Jolly Rosso, spiaggiata a Formiciche, Amantea, nel 1990

Nave che venne poi smantellata, pezzo per pezzo e poi rottamata, nei mesi successivi.

La storia delle "Navi dei Veleni" rimarrà uno dei tanti "segreti della Storia d'Italia" con tanti dubbi e nessuna certezza.

Neanche quella sul piano ufficiale che le "Navi" siano realmente esistite.

Una Spy Story tipicamente all'italiana e legata per la sua temporalità, anni '80 e primi anni '90, alla Prima Repubblica e al periodo di transizione fra la Prima e la Seconda.

La Jolly Rosso durante i lavori di smantellamento e rottamazione nel 1991

Le dichiarazioni del pentito di 'ndrangheta, Francesco Fonti, vennero ritenute poco attendibili attuando, in tal modo, la probabile strategia di tutti quei poteri oscuri che, come in ogni segreto della storia d'Italia, hanno lavorato per depistare le indagini e per non far mai emergere la verità, coperta dalla impenetrabile cortina del "segreto di Stato".

E sulla figura di Francesco Fonti riproponiamo uno dei tanti articoli scritti sull'argomento dal nostro direttore, il giornalista d'inchiesta Gianfranco Bonofiglio.

 
Il grande affare dei rifiuti tossici, chi era realmente Francesco Fonti, il pentito delle navi dei veleni

Francesco Fonti il 5 dicembre del 2012 ha lasciato la sua vita terrena colpito da un male incurabile. Negli ultimi anni della sua travagliata vita della quale gli ultimi diciotto trascorsi da collaboratore di giustizia più volte aveva asserito che erano in molti coloro che desideravano la sua dipartita. Lo scrive finanche nella sua quarta di copertina del sul libro “Io, Francesco Fonti, pentito di 'ndrangheta e la mia nave dei veleni” edito dalla “Falco Editore” nel novembre del 2009, tre anni prima della sua morte.
 
 Ma chi è stato realmente Francesco Fonti. Un vero boss della 'ndrangheta prima ed un pentito scomodo dopo, oppure un uomo che ha sempre cercato da dare di sé una visione diversa millantando credito e romanzando la sua vita cercando di farsi accreditare per quello che in realtà non era. E fra le due tesi quella che ebbe la meglio fu quella di essere considerato poco credibile.

Eppure a leggere il suo libro autobiografico non sembra poi essere del tutto inattendibile. Inoltre da quando, e precisamente dal 23 maggio, alcuni documenti coperti da segreto di Stato relativi alle indagini sulla morte di Ilaria Alpi e sul presunto traffico internazionale di rifiuti sono stati desecretati su decisione del Consiglio dei Ministri, non sembra affatto che in alcuni di questi il collaboratore di giustizia Francesco Fonti venisse ritenuto completamente inaffidabile per come poi invece è stato giudicato nell'ambito processuale.
 
 
Bidoni sospetti spiaggiati
 
Fonti collezionò, fra l'altro, anche tre condanne per calunnia nei confronti di diversi magistrati. E nelle sue dichiarazioni Francesco Fonti non risparmia nessuno. Racconta di cene romane con esponenti importanti dei servizi segreti, di incontri con importanti personaggi della Prima Repubblica, (incontri dei quali non fornisce però nessun riscontro).

Arriva a parlare anche del caso Moro. Si tratta ovviamente del periodo nel quale Francesco Fonti frequentava Roma e girava l'Italia per lungo e per largo. Si tratta degli anni '70 ed anni '80 considerando che, condannato a 50 anni di reclusione, diviene collaboratore di giustizia nel 1994, quando aveva soli 46 anni, e quando nella gerarchia 'ndranghetista aveva raggiunto il grado di “Vangelista”.
 
Francesco Fonti nasce a Bovalino il 22 febbraio 1948. “Avevo meno di vent'anni, ma nel Sud questa età è quella buona per essere affiliato”, “Venni mandato a Torino per farmi le ossa” racconta Fonti di se stesso. E nel suo libro racconta anche della sua esperienza vissuta nel cosentino, della sua permanenza a Rossano Calabro dove acquistò una villa e dove espletò l'attività di commerciante nel settore dell'arredamento, del contrasto poi risolto con Peppino Cirillo, in quel tempo boss della sibaritide.

Il racconto della sua vita prosegue con l'arresto nel 1985 nel carcere di Vibo dove Fonti conosce Franco Pino, il boss dagli occhi di ghiaccio.
 
Sempre nel 1985 Fonti nel carcere di Vibo partecipa alla veglia funebre in onore di Paolo De Stefano, ucciso nella guerra di 'ndrangheta reggina il 13 ottobre 1985. Racconta anche della sua esperienza carceraria vissuta all'interno del carcere di Via Popilia a Cosenza.
 
Del suo ingresso nella “Santa”, l'organizzazione di vertice della 'ndrangheta ai quali componenti è permesso di avere contatti con esponenti deviati dello Stato, del suo rapporto per anni con uomini dei servizi segreti, con potenti personaggi della mafia siciliana.
 
Ma la sua credibilità subisce un duro colpo quando il Ministero dell'Ambiente accerta che il relitto antistante il mare di Cetraro non è la nave “Cunsky” che, per le dichiarazioni di Fonti, venne fatta affondare con il suo carico tossico, bensì quello del Piroscafo “Catania” affondato durante l'ultima guerra.


Vi è chi pensa che la storia delle navi dei veleni sia uno di quei misteri all'italiana che tali rimarranno per sempre nonostante la desecretazione degli atti coperti dal cosiddetto segreto di Stato.
 
Una storia, quella delle navi dei veleni, sulla quale sono stati scritti fiumi e fiumi d'inchiostro, sulla quale sono stati pubblicati numerosi libri con diversa fortuna editoriale. Così come mai si saprà con certezza se Francesco Fonti raccontò da pentito una verità vera ma scomoda oppure Francesco Fonti, nel suo paese detto Ciccillo, nel suo memoriale di 49 pagine del 2003 consegnato a Enzo Macrì della Procura nazionale Antimafia nel quale si racconta delle tante navi affondate nel Mediterraneo, si avventurò nel fantasticare fatti non veri per darsi un ruolo che non ha mai avuto.
 
Anche questo rimarrà un mistero come rimarrà un mistero su cosa cercassero coloro i quali hanno saccheggiato la sua modesta abitazione assegnatagli nell'ambito del regime di protezione e collocata segretamente in un centro assistenziale di una provincia del Nord Italia pochi giorni dopo la sua morte.


Redazione

 
 
 
 
 
 

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