In Italia si pubblicano moltissimi libri. Più di quanto il mercato attuale riesca assorbirne. Da qui nasce un problema fondamentale: la maggior parte dei nuovi libri pubblicati rimane invenduta sugli scaffali o nei magazzini di case editrici e distributori.
Ne parliamo con un giovane scrittore, Andrea Barnaba Parise, che sta pubblicando il suo secondo libro con la formula innovativa del crowdfunding.
Cos’è questo metodo e in che cosa differisce con il sistema tradizionale?
Oggi molte case editrici pubblicano libri a spese degli autori, che si limitano a scrivere il testo (e neanche sempre) e pagare la casa editrice. Pubblicazioni del genere sono solo dei punti in più da poter segnare sul curriculum, oltre che uno status symbol. Sono testi senza lettori. Dal punto di vista del mercato editoriale non rappresentano certo qualcosa di positivo. Non ho mai sentito parlare in termini positivi di un prodotto che non abbia mercato. Il crowdfunding, invece, prevede uno slancio attivo da parte dello scrittore, ed un rovesciamento della situazione precedente. Al posto di pubblicare prima il libro, per poi scoprire che non ci siano lettori, si cercano prima delle persone interessate al libro, ovvero i futuri lettori, e soltanto dopo si procede con la pubblicazione.
In che modo si può realizzare un progetto di questo tipo?
Oggi esistono case editrici come Bookabook che organizzano campagne di crowdfunding per le proposte editoriali che ritengono valide. Se vuoi pubblicare devi avere almeno due requisiti: che il tuo libro passi il vaglio della commissione e che tu abbia voglia di metterti personalmente in gioco nello sponsorizzare il tuo libro. In un mercato come quello attuale, è impensabile credere – a meno che non si sia già molto famosi – che dopo aver scritto un libro appaiano magicamente i lettori. Devi aiutare le persone a conoscere ciò che hai creato.
Come si intitola il tuo libro e qual è la tematica principale?
Il libro s’intitola “L’esotico”. È un racconto satirico che prende di mira l’eccessiva specializzazione del sapere accademico. Io sono laureato in Scienze Filosofiche qui all’Università della Calabria e sono profondamente innamorato del mondo universitario. Come molto spesso avviene, infatti, è quasi impossibile scrivere della buona satira quando l’oggetto non risulti importante.
Quando e dove sono maturate le tue idee in merito al mondo accademico?
Durante i miei cinque anni di studio all’Unical, che mi hanno permesso di conoscere personalità diverse. Il campus, infatti, ospita oltre millecinquecento studenti stranieri che costituiscono uno strumento formidabile per la sprovincializzazione della cultura. È una delle premesse principali per generare fermento culturale. Incontrare persone di altri mondimi ha stimolato molto. A volte, generando anche perplessità sugli effetti della globalizzazione. Se da un lato, infatti, speravo di scoprire attraverso gli studenti stranieri nuove prospettive, nuovi modi di agire e di interfacciarsi con il mondo, il più delle volte le mie aspettative venivano tradite: le nostre affinità superavano di gran lunga le nostre differenze. Amo studiare ed acquisire nuove informazioni. Porto con me un senso di meraviglia alquanto infantile. Dopo la prima laurea in Scienze Filosofiche, infatti, avrei voluto indagare altri campi del sapere. Sempre presso l’Unical, che ormai percepisco come una seconda casa.
Perché allora questa diffidenza nei confronti della specializzazione del sapere?
Questa iperspecializzazione mi sembra, da un lato, necessaria, a causa della limitata mole di informazioni che possono sedimentare all’interno di un singolo individuo. Dall’altro lato, però, mi sembra che finisca per relegare questo stesso individuo in una prigione teorica. Ho spesso osservato problemi di comunicazione tra due specialisti della stessa branca del sapere (come possono essere il giurista penalista e quello civilista). Ogni sapere particolare, infatti, porta con sé un suo linguaggio specifico; e tra lingue diverse è quasi impossibile comprendersi. Che due specialisti della stessa macro-area, non riescano a intavolare un dialogo costruttivo, è una situazione che ritengo spaventosa, da una parte e pericolosa dall’altra. Sebbene, infatti, molti di questi incontri siano cosparsi di una retorica molto pacata e forbita e rispettino le più comuni regole di buona educazione, si tratta di monologhi in cui il penalista (per rimanere sull’esempio precedente) analizza una questione attraverso il proprio punto di vista, allo stesso modo del suo collega. Entrambi alla fine della “discussione” rimangono della propria opinione, rintanati all’interno del proprio linguaggio specifico e del punto di vista della propria specializzazione. Chiarisco ancora una volta che il penalista e il civilista sono soltanto un esempio. Capita anche tra lo studioso di filosofia morale e quello di filosofia teoretica, per intenderci.
Come sta procedendo la sua campagna?
Direi positivamente, anche se ancora nel campo letterario non siamo abituati allo strumento del crowdfunding. Partita ad inizio settembre, nel giro dei primi 5 giorni, la campagna del libro ha già registrato un centinaio di preordini e, quindi, di futuri lettori, i quali possono interagire con l’autore, leggere degli estratti dell’opera e richiedere qualsiasi altro tipo di informazioni. Un risultato eccellente, ma per ottenere la pubblicazione del volume è necessario raggiungere l’obiettivo delle duecento preordinazioni. Qualora questo non dovesse avvenire i fondi raccolti saranno interamente restituiti ai potenziali lettori.
(Potete trovare maggiori informazioni sulla campagna del libro di Andrea Barnaba Parise presso il link seguente: https://bookabook.it/libro/lesotico/)
Redazione