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Le ultime inchieste condotte dalla Dda sulla criminalità cosentina, ed in particolar modo le inchieste "Reset" e "Recovery", svelano fra le migliaia di pagine che la delineano una caratteristica fondamentale della criminalità cosentina che ha radice antiche nei decenni.
 
Svelano quella atavica cultura della mafiosità, che non è quella dei comportamenti e delle regole non scritte di chi sceglie di aderire alle consorterie mafiose, ma è quella molto più vasta e generalizzata dell'ammirazione e dell'idolatria della cosiddetta "gente comune" nei confronti degli esponenti della criminalità.
 
Che l'uomo di rispetto, il criminale, eserciti da sempre il fascino del male, della forza, dell'imposizione delle proprie leggi è parte della natura umana e della storia dell'umanità.
 
Lo dimostrano il successo e il mito di film come "Il Padrino", (nella foto di apertura l'immagine di Vito Corleone omaggiato per il suo potere), l'enorme seguito del Film e della serie "Gomorra" o l'idolatria dei protagonisti della Banda della Magliana, dei quali in gran parte morti giovanissimi, ma ancora oggi miti de emulare nei quartieri popolari romani.
 
E questi sono solo degli esempi.
 
Ritornando alla città dei Bruzi è appena il caso di menzionare una interessante annotazione di servizio dei carabinieri di Cosenza che risale addirittura ai primi anni '70 sull'allora capo indiscusso della criminalità cosentina che fu per i cosentini un vero e proprio idolo.
 
L'annotazione venne stilata nei confronti di Luigi Palermo detto "U Zorru" che cadde per mano mafiosa il 14 dicembre 1977, quando aveva 54 anni.
 
Nella nota di servizio si leggeva "È amico di tanti politici e gode della malsana ammirazione da parte dell’opinione pubblica e finanche delle sue vittime". 
 
E' infatti risaputo, per come hanno poi raccontato i "pentiti" di prima generazione, quelli che sono divenuti collaboratori di giustizia dal 1993 sino al 1999 ed hanno condizionato il famoso processo "Garden" dal nome del Cinema nelle quali vicinanze venne ucciso lo stesso Luigi Palermo.
 
Per numerosi collaboratori e soprattutto per il pentito più importante, Franco Pino, capo indiscusso dal 1977 al 1995,  "in tanti si rivolgevano a lui per mediare e risolvere problemi della quotidianità, dal recupero di una autovettura rubata, dal recupero della refurtiva di un furto in casa, dal recupero di un debito non pagato, dalla risoluzione di una lite, finanche di una lite condominiale, dall'accelerazione di una pratica comunale, dall'imposizione di cessare uno sciopero sindacale e così via". 
 
Praticamente una agenzia sbrigatutto ed ovviamente ad ogni favore fatto poi sorgeva l'obbligo di elargire un pensiero, un regalo o, per meglio dire un "fiore" ( termine usato nel linguaggio 'ndranghetistico), da destinare agli amici degli amici.
 
E questa cultura dell'idolatria verso i capi bastone della criminalità cosentina si conferma anche nelle ultime inchieste contenenti intercettazioni che coinvolgono imprenditori, cittadini comuni e tanti altri che si rivolgono ai capi - boss per risolvere attriti e problematiche di varia natura.
 
Tutto ciò dimostra come una piccola città di provincia con non più di 60.000 abitanti effettivi sia rimasta ancorata ad una mentalità retrograda e antica che vede ancora oggi nei criminali il vero "Stato" ai quali rivolgersi per mediare contrasti ed attriti.
 
E conferma come ancora oggi, nel 2024, la cittadinanza sia lontana dalle Istituzioni che ad onor del vero non hanno mai tutelato in passato ed ancor più oggi, i cittadini soprattutto a Cosenza.
 
E in tale modello culturale mai nessuna azione giudiziaria potrà cambiare la mentalità imperante, mai nessuna primavera della legalità potrà sorgere per un vero cambiamento.
 
Anzi il numero degli affiliati non potrà che crescere soprattutto fra i giovani e giovanissimi che crescono nel mito del "gangster" amato, temuto e rispettato da tutti.
 
Basti solo accennare ai numeri delle più recenti inchieste giudiziarie. Nelle ultime tre inchieste ben 430 gli indagati, che, ovviamente, sono da considerare tutti innocenti, fino al terzo grado di giudizio.
 
Inoltre considerando il numero elevato, vi sono molte probabilità che non pochi che sono stati coinvolti magari poi saranno scagionati e assolti perché il fatto non sussiste.
 
Ma rimane comunque la prova che l'affidarsi a modelli criminali per la risoluzione di problemi di diversa natura da parte di cittadini comuni sia la continuazione di una vecchia cultura di rispetto e ammirazione per il gangster, figura dominante che si eleva a "risolutore" di controversie e attriti.
 
La prova di una forte e diffusa cultura dell'illegalità ambientale che sarà sempre l'humus ideale per far crescere e proliferare il fenomeno criminale.
 
Redazione
 
 
 
 

Editoriale del Direttore