Sono trascorsi ben 43 anni dal giorno in cui venne ritrovato il corpo dilaniato di Peppino Impastato nei pressi di Cinisi vicino ai binari. In quel momento per le autorità giudiziaria non vi fu alcun dubbio. Un estremista che voleva far saltare i binari, dilaniato dalla stessa bomba che stava armeggiando. Il giorno coincide con il ritrovamento del corpo di Aldo Moro e la coincidenza ne fece un triste quanto banale accostamento. Per il sistema imperante di allora nella tremenda Sicilia degli anni settanta la frettolosa chiusura del caso giudiziario è l'ennesima testimonianza di un sistema sociale chiuso ed inviolabile caratterizzato da una totale complicità e dalla più assoluta omertà. Ma la storia di Peppino Impastato segna uno spartiacque nella storia della lotta alla mafia in Sicilia e nell’intera nazione. La storia di un giovane figlio ed imparentato con una famiglia di rispetto di Cinisi, che decide, con coraggio di rompere gli schemi, di respingere la regola ferrea dell’omertà e del tacito silenzio. Il bel film di Marco Tullio Giordana, “I cento passi”, premiato con quattro Oscar al festival del Cinema di Venezia, ha fatto conoscere ed apprezzare la vicenda di Peppino Impastato al grande pubblico. Cento erano i passi di distanza fra la casa di Peppino e la casa del boss di Cinisi, Tano Badalamenti. Solo nell’aprile del 2001, dopo ben 23 anni dalla morte di Peppino, lo stesso Badalamenti è stato condannato all’ergastolo quale mandante dell’omicidio. Oltre venti anni di lotte per far rivivere la memoria di Peppino e giungere ad un atto di doverosa giustizia. Lotta condotta, con estrema decisione, dalla compianta mamma di Peppino, Felicia Bartolotta, che ha dedicato tutta la sua vita al ricordo del suo amatissimo figlio. Ma chi era realmente Peppino Impastato? Un giovane rivoluzionario che sognava di cambiare il mondo come tutti i giovani degli anni sessanta e settanta. Un giovane militante di “Democrazia proletaria” e, soprattutto un vero giornalista, anche se non è stato mai iscritto all’albo dei giornalisti in vita, ma iscritto alla memoria dall’Ordine dei Giornalisti della Sicilia. Un giornalista di fatto che aveva il coraggio di essere libero, di dire solo e soltanto la verità e che con la vita ha pagato il prezzo, sempre altissimo in ogni epoca, del coraggio della verità. Un giornalismo libero lontano mille miglia da quel giornalismo servile, velinaro ed ossequioso al potere che ancora oggi domina il mondo dell’informazione. Un “botto” e tutto dimenticato: questo hanno pensato i mafiosi del clan Badalementi quando gli legarono attorno al corpo la gelatina per farlo esplodere sui binari. Ma sbagliavano. La memoria esiste e Peppino Impastato è divenuto un'icona ed una luce per tutti coloro i quali credono ancora che l’impegno contro la mafia sia atto rivoluzionario e consacrazione ideale nell’eterna lotta fra il bene ed il male. La memoria parla di un ragazzo che rompe con la famiglia e la sua sacralità da Medioevo, che fonda un giornalino “L’Idea Socialista” e scrive che la “mafia è una montagna di merda”. Un'icona del coraggio che parla di manifestazioni contro la speculazione sul territorio possibile solo con un forte connubio fra mafia e politica. Peppino allora denunciava quegli anni bui, ma oggi, dopo tanti anni, gli anni bui sono prepotentemente ritornati. Oggi le organizzazioni criminali si riorganizzano sfruttando un clima di abbassamento della guardia ben lontano dagli anni delle lenzuola bianche di Palermo e delle manifestazioni antimafia in nome di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nella sua trasmissione “Onda Pazza” che Peppino conduceva su “Radio Out” Don Gaetano Badalamenti diveniva “Don Tano Seduto”, Cinisi cambiava il suo nome in “Mafiopoli”, la strada principale “Corso Luciano Liggio”, il sindaco Gero Di Stefano in “Geronimo”. L’ironia contro il potere, l’allegria e la gioia di vivere in un mondo libero dalle paure e dalle mafie contro la cultura della morte e della violenza. Lo sberleffo continuo ed ironico contro l’ipocrisia e l’omertà dei ceti dominanti dell’isola. Ma l’esempio e la vita di Peppino Impastato non è stata vana. Gli amici di Peppino, la famiglia ed il Centro Siciliano di documentazione “Peppino Impastato” gestito da Umberto Santino, costituitosi parte civile in tutti i più importanti processi di mafia in Sicilia continuano, ancora oggi a tenere viva la memoria per costruire una Sicilia ed un Sud diverso. Anche nel mondo del giornalismo militante, quello impegnato nell'antimafia sociale, Peppino Impastato ha lasciato un segno profondo, nonostante l'egemonia di oggi come allora delle menzogne imperanti del potere e dei suoi servi.
Gianfranco Bonofiglio