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Di grande attualità la discussione sui vaccini per il Covid e su come l'emergenza Covid sia stata affronta nella sua fase iniziale e su quali siano gli effetti degli stessi nel lungo periodo.

 
In tanti hanno preferito non sottoporsi al vaccino ed in tanti sono coloro i quali sono convinti che l'imposizione del vaccino sia stata una lesione della sacra libertà di scelta dell'individuo.
 
Ed in merito alla obbligatorietà dello stesso pubblichiamo integralmente l'accorata lettera di un genitore di una piccola bimba di tre anni presso il reparto di Pediatria dell'Ospedale di Cosenza.

"Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento; di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale"

Così è scritto nel il primo verso del giuramento d'Ippocrate. Impegno cui ciascun medico è chiamato a improntare la propria azione.

Ma, è ancora cosi?

Questo mi sono chiesto dopo avere ricoverato mia figlia, tre anni di età, presso il reparto di pediatria dell'Ospedale di Cosenza.

Nell’atto di dedicarsi a bambini bisognosi di cure, ma bisognosi anche d’un rassicurante sorriso, non ho visto un solo pediatra rinunciare, magari per un momento, alla sua mascherina.

Abbassata puntualmente poi, o anche tolta, per parlare con medici, infermieri, personale ospedaliero, gente di passaggio.

Nell’osservarli, questo mi sono ogni volta domandato: stanno esercitando la loro professione in piena libertà, senza cioè condizionamenti?

Ho visto in qualche caso operatori sanitari ostacolare visite dei familiari ai piccoli pazienti; ho visto talora vietata l’assistenza dei familiari, a questi bambini, in ossequio a regole irragionevoli e incomprensibili. 
 
Un esempio: per l’ingresso in reparto, è stata chiesta somministrazione di tampone anticovid al genitore/accompagnatore, con conseguente obbligo (DI CHI??) a un soggiorno (DOVE????) di quarantotto ore, e divieto di allontanamento dal reparto. 
 
Niente di tutto questo, invece, per medici, infermieri, tecnici, personale amministrativo e di sicurezza, sanitari di altri reparti, fornitori, volontari, addetti commerciali. 
 
Soltanto i genitori/accompagnatori dei bambini erano insomma ritenuti portatori di agenti patogeni.

Trattasi di protocolli ispirati a criteri scientifici, trattasi di precauzioni volte a tutelare la salute fisica e psichica dei pazienti, oppure si è di fronte a comportamenti adottati per acquiescenza verso un sistema di irragionevoli divieti; di condotte prive di scientifico fondamento poste in essere evitare fastidi?

Non ho purtroppo, dentro di me, risposte.

La pandemia ha lasciato profondissimi segni nei comportamenti delle persone, e molte cose non sono più come prima.

Tutti sappiamo che l’emergenza pandemica è finita, ma esiste come un imperativo secondo il quale bisogna continuare a vivere nell’angoscia, dentro regole e protocolli dove umanità e pietà sono cancellati, dove ciò che conta è seguire acriticamente, irrazionalmente l’altoparlante che urla emergenza. E salvezza soltanto a chi segue istruzioni e tracciati imposti dall’alto.

Il medico che accetti di togliere un sorriso al bambino affidatogli diventa ordinario operatore, bravissimo magari, ma del tutto simile a un essere meccanico che tratti di cose meccaniche. 
 
Molto lontano dall'artista della scienza e della vita che prima della pandemia avevamo tutti conosciuto".
 
Redazione





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