In questi giorni è in corso l’iter parlamentare per l’approvazione del decreto sull’art. 4bis dell’ordinamento penitenziario: il così detto ergastolo ostativo.
Questo strumento vieta di liberare i boss mafiosi (alcuni anche stragisti) e terroristi condannati all'ergastolo se non collaborano con la giustizia. Di recente è intervenuto un nuovo decreto-legge approvato dal Governo Meloni per mettere una pezza su questo dispositivo e la Corte ha rimesso gli atti alla Cassazione per verificare se la normativa sopravvenuta faccia venire meno, o no, i dubbi di legittimità costituzionale (sollevati nel tempo sia dalla Corte costituzionale sia dalla CEDU).
Per fare il punto sulla situazione venerdì scorso ha avuto luogo un convegno presso l’Università di Giurisprudenza di Catanzaro intitolato “Ergastolo Ostativo. Il problema e le implicazioni costituzionali”. Ospiti del dibattito sono stati il consigliere togato al Csm Nino Di Matteo; il Procuratore capo della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, l’ex magistrato già capo del Dap Bernardo Petralia, Gherardo Colombo, già magistrato, noto al grande pubblico per la storica inchiesta di “Mani Pulite”, e Raffaele Sabato, giudice della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Nel corso della conferenza sono stati espressi punti di vista diversi sull’argomento. Un incontro importante in cui è stato possibile analizzare questo strumento di contrasto alle mafie, che rientra nella legislazione antimafia fortemente voluta da Giovanni Falcone.
Ma alcune delle relazioni esposte sono scadute purtroppo tra meri tecnicismi arzigogolati (è il caso di Bernardo Petralia) e concetti esclusivamente filosofici per non dire aleatori (è il caso di Gherardo Colombo), in alcuni casi molto discostati dalla realtà dei fatti e, soprattutto, distanti da un assunto imprescindibile: le organizzazioni criminali di stampo mafioso e ‘ndranghetista devono essere trattate con specificità e competenza.
Il rischio altrimenti, come ha sottolineato Nicola Gratteri, è quello di fare “un’insalata” perché “non si hanno le competenze per capire cos’è la criminalità organizzata, cos’è il gangsterismo, cos’è la mafia e cosa invece la ‘Ndrangheta: organizzazioni con filosofie criminali ma comportamenti diversi”.
Gratteri: “Manca una volontà politica seria, vera, concreta”
È stata poi la volta di Nicola Gratteri, che ha aperto il suo intervento ribadendo l’affetto e la stima nei confronti di Nino Di Matteo e, soprattutto, la “grande coerenza che ha sempre pagato lungo tutta la sua carriera costruita mattoncino su mattoncino” costatagli anche l’“isolamento”. "Concordo con Di Matteo: c'è un vento che è cambiato. C'è un vento che sta toccando vari pezzi delle istituzioni. Sta toccando un po' tutta quella che è la legislazione antimafia - ha detto il Procuratore capo di Catanzaro -. Il vento è cambiato e sta toccando un po’ tutto. Oggi stiamo parlando di ergastolo ostativo, ma allargherei un po’ il campo. Non bisogna parlare solo di ergastolo ostativo perché significherebbe ridurre la visione di quello che sta avvenendo attorno a noi. Da qualche anno è in discussione tutta la legislazione antimafia”. Una serie di strumenti che oggi “stanno studiando negli altri Stati d’Europa” e del mondo. Un dato che sottolinea “quant’è tragicomica la situazione che stiamo vivendo”, ha commentato. "Si parla di carcere, di ergastolo ostativo, si parla ogni tanto di sovraffollamento, si parla di suicidi", apparentemente, "in ordine sparso” ha continuato il Procuratore. In realtà “si sta minando quel poco di legislazione antimafia che è rimasta”. Per il procuratore manca “una volontà politica seria, vera, concreta” perché al di là dell’emergenza dell’ergastolo ostativo “bisogna avere il coraggio di iniziare a parlare anche di una rivisitazione del codice di procedura penale”. “Oggi, se io avessi potere scriverei: ‘Articolo 1: ‘La riforma Cartabia va abrogata’’, ha aggiunto. Successivamente ha voluto puntualizzare come siano state travisate dall’Italia le richieste dell’Ue in tema di riforma della giustizia e, in particolare, di velocizzazione dei processi. “Nessuno degli avvocati presenti può dire che la Riforma Cartabia ha velocizzato i processi perché ha creato tre norme che impediscono dal punto di vista sostanziale di farla entrare in vigore - ha detto -. È difficile che si possano fare riforme sostanziali al contrario”. E ribadendo la condivisione di quanto detto da Nino Di Matteo, il procuratore Gratteri ha aggiunto: “Il vento sta soffiando al contrario rispetto a ciò di cui c’è realmente bisogno per arginare le mafie, la corruzione, i reati contro la pubblica amministrazione (oggi sempre più interconnessi) e, soprattutto, il riciclaggio che è ormai molto sofisticato”. “Ricordate che gli ‘ndranghetisti non sono in grado di riciclare - ha detto -, ma solo di comprare. I milioni di euro che hanno sotterrato nei bidoni dell’olio, o che hanno nelle stanze, li affidano al mondo delle professioni per riciclarli. A loro non interessa cosa ci fanno, basta che vengano ripuliti. Questo è ciò che accade mentre parliamo. C’è veramente tanto da fare e ci vuole tanto coraggio. Dato che non si compra al supermercato, chiederei a chi non ha coraggio di mettersi da parte e lasciarci operare”.
Il consigliere togato del Csm, Nino Di Matteo
L’Europa non sa cos’è la mafia
"Diceva bene Di Matteo: noi non siamo stati capaci di spiegare all’Europa cos'è la mafia, di spiegare cosa vuol dire essere 'ndranghetisti. Perché spesso si fa un'insalata perché non si ha la competenza e la conoscenza per spiegare la differenza tra criminalità organizzata, criminalità comune, gangsterismo e mafia. Che sono quattro cose diverse. Perché hanno soggetti che appartengono a queste categorie criminali, con filosofie criminali, ma che hanno comportarti criminali totalmente diversi". Gratteri non usa mezzi termini e usa parole lapidarie contro l’inettitudine e l’ignoranza di certi organi di potere. Anzitutto l’Europa. Un organo nei cui confronti spesso l’Italia si comporta come “suddita” e non come “parte della stessa” oltre che sua “costituente”. Gratteri si chiede “perché non si spiega e non si studia cos’è uno 'ndranghetista e come si diventa?”; “perché non si spiega che è una mentalità, un modo di pensare, un modo di vivere, una filosofia di vita essere 'ndrangehtisti?” Tutte domande che, purtroppo, non trovano risposte. Nel tempo la ‘Ndrangheta è cambiata e si è fortificata sempre più insediandosi nel tessuto sociale e nei gangli del potere e del mondo delle professioni. “Lo ‘ndranghetista non è il cretino col suv da 80mila euro che ferma la macchina davanti al bar con la camicia sbottonata e la collana al collo. Quello è il cretino, l’utile idiota portatore di acqua al pozzo del capoclan. Lo ‘ndranghetista del quale parlo io è un’altra cosa – ha detto Gratteri -. Dobbiamo comprendere che un bambino di sei anni viene educato ad essere un 'ndranghetista. A sei anni quasi tutti i figli di famiglia di ‘Ndrangheta considerano il carabiniere uno sbirro. E allora dobbiamo spiegare come si diventa ‘ndranghetista. Non giriamoci attorno. So che impopolare ciò che sto dicendo ma sarei ipocrita se non vediamo che ‘il Re è nudo’. Questa è la verità”.
Da sinistra: il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, la sottosegretaria all'Interno, Wanda Musso, il consigliere togato del Csm, Nino Di Matteo, il giornalista e saggista, Massimo Tigani Sava, e il consigliere laico del Csm, Fulvio Gigliotti
La ‘Ndrangheta “ha delle regole al suo interno”. Una di queste, ad esempio, stabilisce che “tutti i figli maschi, tranne uno, a quattordici anni vengono battezzati dalla 'Ndrangheta. E dalla ‘Ndrangheta si esce solo con la morte o con collaborazione con la giustizia”. A differenza delle altre mafie nella ‘Ndrangheta c’è anche la “sospensione" cioè "lo ‘ndranghetista che viene tradito dalla moglie, ad esempio, o che ha problemi con l’alcool o con la droga, non partecipa più alle riunioni di 'Ndrangheta: viene sospeso. Fino a che non risolve quei problemi non partecipa alle riunioni di 'Ndrangheta - ha continuato Gratteri -. Viene sospeso, viene messo in ‘sonno’ come i massoni. Ma escluse queste ipotesi, uno ‘ndranghetista anche se si sposta dalla Calabria e va a Torino, a Milano, a Francoforte o a Melbourne in Australia - dove c'è una locale di 'Ndrangheta indipendente - va lì per fare qualche cosa”. “Abbiamo spiegato alla CEDU queste regole della ‘Ndrangheta? In Europa sanno cos’è la ‘Ndrangheta, Cosa nostra, la Camorra o la Sacra Corona Unita? Non lo sanno. Sapete perché? - ha chiesto Gratteri ai ragazzi presenti - Se lo avessero saputo, se in buona fede, non avrebbero lasciato che si aggiustasse la legislazione antimafia. So io quanta fatica facciamo ogni volta che andiamo all'Aja, all'Eurojust per provare a spiegare queste cose e poi ritrovarci con dei muri di gomma perché sul piano normativo non c'è l'interfaccia di tutta la legislazione antimafia”. Una verità amara frutto dell’esperienza trentennale del procuratore Gratteri che lo ha visto impegnato in tutto il mondo con le sue attività investigative ma anche con la sua formazione di organi di polizia internazionali. “Noi siamo in UE per la moneta unica, perché non abbiamo barriere e discutiamo di economia e finanza ma sul piano della sicurezza e della giustizia siamo lontani anni luce - ha aggiunto il procuratore -. L'Europa si è trasformata in una grande prateria in cui chiunque può pascolare. Non ci sono limiti, non ci sono difficoltà a riciclare. E questo problema del riciclaggio in Europa, oltre alle mafie italiane e oltre alle organizzazioni criminali europee, lo abbiamo con le organizzazioni criminali sudamericane. Perché solo il 9% della vendita della cocaina da parte delle organizzazioni sudamericane viene pagato in America Latina. I sudamericani vogliono essere pagati in Europa perché è conveniente investire qui. C'è una maggiore possibilità di arricchimento e c'è una minore possibilità di essere controllati e perseguiti".
Gherardo Colombo e la memoria tradita di Giovanni Falcone
Nel corso dell’evento è intervenuto da remoto anche Gherardo Colombo, volto storico della magistratura italiana che ha avuto il coraggio di indagare i più alti sistemi di potere in Italia. Sono celebri le inchieste e i processi che ha condotto e in cui ha collaborato, a partire da quella sul falso rapimento Sindona in cui, assieme al suo collega Giuliano Turone, scoprì la famosa lista della Loggia massonica P2 di Licio Gelli; e poi ancora il delitto Giorgio Ambrosoli; è stato, assieme ad Antonio Di Pietro e Piercamillo Davigo, membro del noto pool “Mani pulite”; ha affiancato la magistrata Ilda Boccassini nella gestione delle inchieste a carico di Silvio Berlusconi e Cesare Previti e per i processi Imi-Sir/Lodo Mondadori/Sme. Dal marzo 2005 ha svolto le funzioni di giudice presso la Corte di Cassazione e dal luglio 2017 agli inizi 2018 ha fatto parte della commissione per la riforma dell’ordinamento penitenziario, oltre ad essere un giurista, saggista e scrittore italiano. Insomma, un ex magistrato il cui curriculum parla da sé, che però - in tema di ergastolo ostativo – si discosta notevolmente dalle opinioni di Di Matteo e Gratteri. Lo diciamo fin da subito: ascoltare la relazione di un ex magistrato del calibro di Colombo priva di un’analisi sulla specificità del fenomeno mafioso è stato al quanto deludente. Nella sua esposizione filosofica, per non dire aleatoria, ha posto il focus sul “concetto di sanzione” e sulla sua finalità rieducativa. “Abbiamo un problema grosso a proposito della mafia – ha detto -: come riuscire a fare in modo che la stessa non esista più? La risposta che diamo alla mafia in qualche modo indirizza e può essere coerente o meno con il fine e lo scopo che ci diamo”. In merito all’ergastolo ostativo, che secondo l’ex magistrato milanese “preclude la possibilità di rientrare in società per chi è stato condannato perché mafioso”, nella sua esposizione ha sollecitato a “vedere se serve e se ci consente di dire che fa spostare la mafia verso l’emarginazione”. Asserendo, inoltre, che questo è stato strumento che non ha portato risultati. “Se noi non cerchiamo di recuperare le persone, non cambia un granello - ha continuato -. È possibile riuscire a recuperare le persone se togliamo loro la speranza? Bisogna forse usare un’altra strada che liberi anche da questa specie di atteggiamento in qualche modo contrattualistico per cui io ti do qualcosa in cambio di altro. Tu parli e io ti premio perché parli”.
Parole che, nella migliore delle ipotesi, sono dettate da una ingenua ignoranza, ma che ad ogni modo offendono la memoria di Giovanni Falcone che per primo intuì l’importanza (e la delicatezza) dei collaboratori di giustizia come strumento di contrasto delle organizzazioni mafiose. E fu sempre Falcone il primo a difendere la necessità di avere una “forbice comportamentale” tra coloro che collaborano e coloro che si rifiutano. Proprio per scardinare dall’interno organizzazioni criminali complesse che si fondano sulla segretezza, su riti di sangue e su collusioni con alti vertici delle istituzioni. Le parole di Colombo, che ha più volte sottolineato il suo stretto legame con Falcone (come a dire “io c’ero e per questo so”), pesano anche perché dette nell’anno del trentennale delle stragi di Capaci e via d’Amelio. Non proprio un bel modo per fare memoria.
“L’ergastolo ostativo? Una fabbrica del rancore”
Tornando all’evento, Colombo ha poi detto che è necessario trovare “un’altra strada che non ci metta a rischio di credibilità”. E ancora: “Credo opportuno, se non addirittura necessario sotto il profilo dell’esercizio della giustizia penale, andare sempre più verso l’individualizzazione della risposta dello Stato nei confronti della trasgressione, e quindi del trasgressore, piuttosto che avere preclusioni normative e di fatto”. Tradotto: guardiamo il caso specifico senza “fare di tutta l’erba un fascio”, come dice il proverbio. “La prova di dissociazione assoluta per il presente e per il futuro è diabolica - ha aggiunto Colombo -. L’argomento utilizzato a supporto dell’ostatività è la tutela dei magistrati di sorveglianza che rischiano intimidazioni da parte dei soggetti a cui applicare o meno i permessi premi. Allora perché la stessa preoccupazione non la si riferisce ai pm che fanno l’indagine? Non è lo stesso per il giudice monocratico che personalmente deve occuparsi di un reato che riguarda il mafioso?” “Dal punto di vista della giurisdizione possiamo fermarci qui. È necessario l’individualizzazione del trattamento ed è necessario liberarci da alcune progettazioni molto brutte - ha concluso l’ex pm di “Mani Pulite” -. Mi chiedo se l’ergastolo ostativo non costituisca una fabbrica del rancore? E in quanto tale contribuisca anche a rendere più agevole e facile abbracciare la mafia piuttosto che discostarsi. Io credo che valga la pena di riflettere sull’utilità del pensare di educare attraverso la minaccia di una sanzione. Il risultato di mantenere persone sotto minaccia è quello di renderle incapaci di essere gestori della propria libertà. Abbiamo bisogno che le persone rifiutino la mafia per opinione e volontà non per minaccia”. In democrazia ogni opinione va rispettata, anche se avversa. A parer nostro però, Colombo ha dimostrato di avere una visione distopica del fenomeno mafioso e povera culturalmente.
Fonte: Antimafia2000.it
Articolo di Jamil El Sadi