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La maxioperazione contro la 'ndrangheta diretta dal Procuratore Capo della Procura della Repubblica di Catanzaro, dott. Nicola Gratteri, cerca di delineare, nella sua immensa documentazione raccolta in ben 4 anni di serrate indagini dal 2017 al 2021, la storia dell'ultimo ventennio della "mala" bruzia.
 
Ma l'architrave di tale inchiesta è certamente rappresentato non solo dalle intercettazioni ambientali, dai video, dai pedinamenti, che rappresentano le classiche procedure investigative, ma dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Ben 28 i collaboratori che hanno rilasciato loro dichiarazioni agli inquirenti. Ulteriore tassello che dimostra come il fenomeno del pentitismo nella storia della criminalità bruzia abbia avuto un peso considerevole. Ed in merito al fenomeno del pentitismo a Cosenza e dintorni ne ripercorriamo la storia, oramai  trentennale, ( dal 1992 ad oggi) del pentitismo bruzio.
 

Nella storia del pentitismo non solo cosentino ma anche sul piano nazionale è bene distinguere due fasi. La prima caratterizzata da pentiti che nell'ambito criminale rivestivano ruoli di comando e di primo piano come Don Masino Buscetta, il boss dei due mondi, sulle cui dichiarazioni si basò il maxiprocesso di Palermo fortemente voluto dai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e la seconda fase dove hanno acquisito il ruolo di collaboratori di giustizia personaggi di tono minore e spesso con storie criminali alle spalle piuttosto frammentarie e degne di poca attenzione. Ed anche a Cosenza si è registrato nel tempo tale passaggio. Ma nel descrivere il fenomeno si può partire dal primo "pentito" anti litteram.

Un pentito che si è pentito prima ancora che venisse scritta ed approvata la legge sui collaboratori di giustizia. Quindi, per come erano definiti allora, un dichiarante. Si tratta di Antonio De Rose che il 10 marzo del lontano 1986 ( la legge che sancisce la nascita del collaboratore di giustizia è del febbraio del 1991) si presenta spontaneamente agli inquirenti e non solo delinea con scrupolo l’organigramma di tutte le fazioni che insanguinarono la città bruzia nei primi anni’80 con lo scontro fra il gruppo Pino ed il gruppo Perna dopo la morte il 14 dicembre 1977 dell’allora capo indiscusso della malavita cosentina, Luigi Palermo, detto “U Zorru”, ma porta gli inquirenti anche a scoprire i corpi maciullati e senza vita di due persone che gli stessi inquirenti neanche sapevano che erano stati uccisi.

Ma era il 1986 e la corruzione che allora vigeva anche nelle istituzioni portò alla scarcerazione di tutti coloro i quali vennero arrestati nel blitz seguito alle dichiarazioni del De Rose pochi giorni dopo.

Addirittura le accuse vennero derubricate da associazione mafiosa ad associazione a delinquere semplice come se tutti gli omicidi compiuti nei primi anni ’80 a Cosenza e, fra questi, anche omicidi eccellenti come il direttore delle carceri, Sergio Cosmai, fossero avvenuti per caso ed il De Rose venne, ovviamente, dichiarato incapace di intendere e volere.

Invece le dichiarazioni del De Rose collimarono al millimetro con le dichiarazioni successive di altri pentiti negli anni ’90. Il primo a pentirsi dopo l’approvazione della legge sui pentiti voluta soprattutto dai giudici Falcone e Borsellino nel ’91, l’anno precedente alla loro morte, fu Francesco Staffa che il 14 aprile 1992 chiese di incontrare l'allora pm Mario Spagnuolo, oggi Procuratore capo della Procura di Cosenza e l'allora maresciallo dei Carabinieri, Cosimo Saponangelo, oggi in pensione.

Seguì subito dopo Roberto Pagano e poi i fratelli Dario e Nicola Notargiacomo. Da questi primi pentiti scattò nel 1994 la prima grande inchiesta cosentina, il procedimento “Garden” nell’ambito del quale si pentirono poi in tanti altri. Certamente il pentimento più eclatante che segnò uno spartiacque e la fine di una prima storia della criminalità bruzia fu il pentimento nel maggio del 1995 del boss dagli occhi di ghiaccio, Franco Pino, che passò dalla mafia allo Stato alla giovane età di quarantatré anni dopo essere stato l’indiscusso capo per ben diciotto anni.

L'ex boss dagli occhi di ghiaccio, Franco Pino, pentitosi nel 1995

Tanti i pentiti che si sono aggiunti nel tempo. Solo per citarne alcuni Umile Arturi, Francesco Amodio, Francesco, Ferdinando e Giuseppe Vitelli, Franco Garofalo, Nicola Belmonte, Angelo Santolla, Francesco Tedesco, Oreste De Napoli, Francesco Bevilacqua, Erminio Munno, Giuseppe Bonfiglio, Luigi Tripodi, Vincenzo Nemoianni, Domenico Scrugli, Maurizio Giordano, Carmine Cristini, Vincenzo Dedato, Eduardo Capizzano, Pierluigi Berardi, Luciano Oliva, Angelo Colosso, Luigi Paternuostro, Francesco Galdi, Silvio Gioia, Mattia Pulicanò e tanti, tanti altri ancora. (E’ anche difficile avere un numero certo, ma circa 130 nella sola area urbana cosentina). Un elenco sterminato, probabilmente eccessivo se lo si confronta con il numero dei pentiti della mafia siciliana, della camorra napoletana e della storica ‘ndrangheta reggina.

Ma perché Cosenza ha registrato così tanti pentiti?. Probabilmente per la genesi della stessa criminalità cosentina ben diversa da quella reggina composta da nuclei familiari.

A Cosenza si è trattato inizialmente negli anni ’70 e primi anni ’80 dell’evoluzione di bande di quartiere. In seguito dalla scelta di tanti giovani spesso abbagliati da un mondo oscuro che non è certamente tutto rose e fiori. E negli ultimi anni si è evidenziato, anche sui mass – media locali, il continuo rosario di dichiarazioni di giovani pentiti delle ultime generazioni criminali sulle presunte relazioni che coinvolgerebbero anche il mondo politico, imprenditoriale e delle professioni.

Ad onor del vero anche quando nel maggio del ’95 si pentì Franco Pino circolavano voci di coinvolgimenti di nomi illustri e del cosiddetto terzo livello, cioè quel livello di contatto fra la politica corrotta e le organizzazioni criminali. In realtà non accadde nulla di nulla e le dichiarazioni di Pino sulla politica vennero ritenute poco attendibili. Non furono in pochi, allora, quelli che si posero il quesito se tali valutazioni furono realmente non condizionate da interessi occulti e da manovre di palazzo.

Libro che narra il "Romanzo Criminale" bruzio degli anni '80

Oggi, dopo tanti anni, ancora una volta i collaboratori di giustizia contribuiscono ad una maxioperazione con numeri importanti che ha avuto una forte risonanza mediatica  con servizi su tutte le Tv nazionali e regionali. 

Ma le stesse dichiarazioni dovranno reggere a tutte le fasi processuali e nella storia del pentitismo cosentino molto spesso le dichiarazioni di molti pentiti passati al vagli del dibattito processuale sono state fortemente ridimensionate. Anche sul pentitismo è ora che si apra un serio dibattito per valutarne la reale efficienza e, soprattutto, la reale credibilità e le metodiche acquisite per valutare i necessari riscontri dei racconti dei pentiti stessi.

Rimane il fatto che la maxioperazione della Dda di Catanzaro conferma come il racconto criminale bruzio continui nel tempo con le sue evoluzioni e le sue trasformazioni adeguandosi ai tempi.

Redazione



Editoriale del Direttore