“La mente campo di battaglia: guerra cognitiva e intelligence” è il titolo della lezione tenuta da Giuseppe Gagliano, presidente del Centro studi strategici “Carlo De Cristoforis”, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto dal prof. Mario Caligiuri.
Il docente ha esordito con la definizione di guerra cognitiva suggerita dal fondatore della École de guerre economique francese, Christian Harbulot quale “l’occupazione offensiva del campo della conoscenza”.
Ad essa è strettamente connessa la guerra dell’informazione, ovvero “tutti i metodi informativi di natura legale ed illegale utilizzati per destabilizzare l’avversario”.
Un’ulteriore definizione dell’Istituto di studi avanzati dell’Information Warfare, complementare a quella di Harbulot, definisce la guerra dell’informazione come “l’uso offensivo e difensivo dell’informazione, per sfruttare, corrompere e distruggere le informazioni di un avversario” e consta di diversi strumenti quali l’accusa di atrocità, l’esagerazione della portata di un fatto, la polarizzazione, l’invocazione di punizione divina sul nemico e la metapropaganda.
Gagliano ha messo in evidenza come i campi di applicazione della guerra di informazione siano numerosi, con particolare riferimento alla “guerra economica in tutti i suoi aspetti, i conflitti militari e la guerra cibernetica”.
Infatti, che la disinformazione sia un’arma tutt’altro che trascurabile, si è reso evidente anche e soprattutto in campo militare.
Nella Guerra del Golfo del 1991 la disinformazione ha avuto un ruolo centrale avendo i mezzi tecnici permesso di sfruttare l’informazione in tempo reale.
Oggi, “il paradiso della disinformazione” è rappresentato da televisione ed internet. In particolare quest’ultimo strumento è divenuto “il terreno per eccellenza della guerra dell’informazione” dal momento che “controllare i canali ed adattare senza interruzione i metodi di trattamento dell’informazione è determinante per il controllo del teatro della guerra di disinformazione”.
Il docente ha sottolineato che negli anni ’90 ci sono stati tre significativi cambiamenti, ovvero il crollo del comunismo, il trionfo delle immagini e la diffusione della disinformazione.
Per comprendere come si concretizzino la disinformazione e le potenzialità di questo strumento di combattimento è necessario entrare nel dettaglio ed “individuare quella che è la grammatica della disinformazione”.
Tra le diverse scuole di pensiero, ha fatto riferimento a Vladimir Volkoff ed ha elencato i metodi attuati quali la negazione o il rovesciamento dei fatti, l’alterazione del movente o delle circostanze, l’attenuazione, il mascheramento, l’interpretazione, la generalizzazione, la deduzione ed infine le tecniche delle parti uguali o diseguali.
Si tratta di strumenti, spesso molto sofisticati, che mirano a influenzare l’opinione pubblica, nascondendo o ridimensionando la portata di fatti molto gravi, attribuendo all’avversario colpe di fatti in alcun modo verificabili dal pubblico, nascondendo le ragioni effettive del conflitto o le reali motivazioni celate dietro operazioni di peace keeping o, ancora, costruendo appositamente cause false per lo scoppio di una guerra.
Gagliano ha poi sottolineato come “in ogni guerra, a cominciare da quella attuale, la disinformazione svolge un ruolo determinante per orientare la pubblica opinione ed anche le scelte politiche”.
Infatti, allo scopo di dare concretezza alla sua affermazione ha individuato un caso di studio, ovvero la guerra in Bosnia, delineando i numerosi aspetti che ne hanno fatto una “brillante opera di disinformazione” condotta in modo impeccabile dall’agenzia indipendente di relazioni pubbliche Ruder Finn.
L’agenzia aveva condotto una campagna di disinformazione molto incisiva al fine di creare un pregiudizio negativo nei confronti del popolo serbo, fino a fare in modo di identificare i Serbi con i nazisti e portando l’opinione pubblica a giustificare la successiva “guerra umanitaria”.
Sfruttando a proprio favore la pubblicazione di articoli pubblicati su una rivista poco conosciuta, l’agenzia Ruder Finn si era inoltre assicurata l’entrata in gioco di alcune organizzazioni ebree a fianco dei bosniaci. Nonostante in seguito fossero state messe in evidenza le numerose discrepanze e gli errori nella narrazione, rendendo palese l’inesistenza di campi di sterminio o l’utilizzo di gas letali da parte dei Serbi, ha evidenziato che “nella guerra di disinformazione anche le evidenze storiche non hanno alcun peso”, dal momento che “l’importante è fare entrare notizie nei cuori e menti e condizionare la publica opinione”.
Compito dei media diventa allora “scatenare esclusivamente l’emotività dello spettatore o del lettore, non informare, non fare conoscere”.
Il docente ha ricordato che la storia moderna della disinformazione risale al patto di Varsavia e che maestri indiscussi di questa guerra di tipo politico e sovversivo sono stati i russi, la cui forza “era nel saper utilizzare in maniera totale l’arma della disinformazione”, a differenza degli Stati Uniti che si impegnavano nella manipolazione delle domensioni morali e psicologiche.
L’Unione Sovietica aveva avviato una guerra sovversiva molto sottile. Infatti non solo tra i principali esecutori della guerra alternativa si devono annoverare gli agenti dormienti che venivano reclutati ed istruiti per andare a vivere negli Stati Uniti con falsa identità, allo scopo di fornire dettagli su aspetti economici, ricerca scientifica e sulla politica americana, ma anche altri esecutori, sia sovietici che stranieri, che conducevano operazioni di sovversione nei loro Paesi di origine.
“Le battaglie più importanti contro l’occidente non erano sul terreno, ma sul piano politico. Era una azione offensiva rivoluzionaria in cui le armi erano le idee, la propaganda sovversiva,i tradimenti e il denaro. Lo scopo era quello di corrompere lo stato satellite dell’avversario rendendolo da un punto di vista ideologico invincibile o economicamente indispensabile”.
Per meglio illustrare la portata delle attività di quella che Gagliano ha definito una “guerra rivoluzionaria russo americana svolta su scala mondiale, sfruttando il processo di decolonizzazione”, il docente ha fatto riferimento al racconti dell’agente dei servizi segreti cecoslovacchi Ladislav Bittman, operativo dal 1954 al 1968.
Nel libro “The deception game”, Bittman ha raccontato le tecniche attuate dal Dipartimento D del KGB condotte da diverse tipologie di agenti stranieri e dalla rete di collaboratori composta da cittadini di Paesi stranieri del partito comunista, che operavano su indicazione dei servizi cecoslovacchi per ingannare il nemico fornendo false informazioni.
Il Dipartimento D era stato istituito agli inizi degli anni ’60 allo scopo di istituzionalizzare la sovversione ideologica dei Paesi non comunisti e operava tramite disinformazione, propaganda e agenti di influenza. Molte sonovstate le operazioni condotte anche in Asia e in Africa.
Si trattava di operazioni estremamente complesse per dare sostegno ai partiti di estrema sinistra e allo stesso tempo influenzare la politica interna o estera del nemico, in una vera e propria “campagna anti americana di intossicazione” allo scopo di “designare gli Stati Uniti come il principale nemico dei regimi di sinistra africani, con la tecnica di demonizzazione”.
Per attuare una disinformazione di carattere scientifico era necessario coinvolgere agenti di influenza altamente professionali e capaci.
Spesso si preferirono infatti “operazioni speciali di propaganda” che richiedevano uno sforzo economico minore, come per esempio l’infiltrazione di agenti nelle testate giornalistiche, tramite i quali venivano pubblicati articoli di e libretti di propaganda come quelli in cui si presentavano gli Stati Uniti come “il paese più razzista del mondo”.
Il docente ha poi sottolineato che le operazioni di disinformazione, oltre alla portata ideologica, hanno ovviamente una forte ricaduta sul piano economico.
Scopo principale è quello di orientare le scelte economiche di un Paese nella direzione auspicata, fino a modificarne gli assetti, poiché “c’è sempre una dimensione economica accanto a quella disinformativa”.
In merito il docente ha fatto riferimento all’attuale guerra russo-ucraina e in particolare alla vicenda del gasdotto Nord Stream “come un caso di disinformazione con ricadute di carattere economico che hanno avvantaggiato determinate parti”.
Gagliano ha poi precisato che, quando si parla di strategia della tensione collegata con la guerra psicologica, si deve tenere presente che trae la sua origine storica nella guerra sovversiva ideata da Lenin, che ha avuto una sua piena applicazione nelle guerre di Indocina e di Algeria, come massima teorizzazione di guerra cognitiva.
La storia moderna della disinformazione si deve infatti collocare in Russia e in Cina, quale modalità con cui il comunismo è stato sviluppato e adattato alle diverse esigenze.
In ambito europeo invece sono stati Francia e Portogallo i Paesi “in cui si è elaborata e maturata la guerra psicologica moderna in relazione al contrasto dei capitalisti o dei comunisti”.
La NATO ha rielaborato ed adattato teorie nate in tali contesti.
Gagliano ha concluso riportando le opinioni di Lenin e Mao che sono da annoverare fra i massimi teorici della guerra dell’informazione, da loro applicata con grandissima efficacia come principale arma di propaganda dell’idea comunista.
Redazione