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Dalle pagine dell'ordinanza dell'operazione "Sistema" coordinata dalla Dda di Catanzaro guidata dal Procuratore Capo, dott. Nicola Gratteri, si delinea quel fenomeno di illegalità ambientale e diffusa coadiuvata da una cultura dominante dell'illegalità, del voto di scambio, del favore dell'amico e dell'appartenenza al compare del compare che è tipica della "cosentinità" dalla fine degli anni '70 ed inizio degli anni '80.
 
Un modello sociale che differenzia di molto Cosenza da Reggio Calabria, Lamezia, Vibo ed altre cittadine calabresi ad alta densità mafiosa. 
 
Un "Sistema", quello cosentino ben definito sin dal 1982 dal sociologo e studiosi di criminalità, Pino Arlacchi, che allora insegnava all'Università della Calabria, da anni silente ed assente nel dibattito pubblico sul tema della corruzione e della criminalità, nel volume "Criminalità a Cosenza e in Provincia" edito dall'amministrazione provinciale di Cosenza del tempo in collaborazione con il prestigioso Centro di documentazione sul fenomeno mafioso dell'Università della Calabria chiuso da anni. 
Il Prof. Pino Arlacchi con Giovanni Falcone
 
Nel capitolo "La questione criminale a Cosenza" si prefigura una diffusione del fenomeno criminale con particolare attenzione sul controllo dell'economia legale sostituita da quella illegale che appare oggi profetica rispetto al quadro indiziario dell'Operazione "Sistema" a ben 40 anni di distanza.
 
L'impunità diffusa, la cultura della raccomandazione e dell'appartenenza ai clan delle famiglie politiche locali che hanno controllato e controllano l'apparato pubblico, le assunzioni pilotate, il controllo della sanità, gli apparati criminali che riciclando il denaro proveniente dal mercato della droga, diventano a loro volta  classe imprenditrice con la complicità dell'area dei professionisti e della borghesia cittadina oramai sempre più corrotta hanno condotto Cosenza a divenire quella Città Oscura dipinto da un testo "La Città Oscura - il romanzo criminale bruzio " uscito nelle librerie nel 2005.
 
Professionisti amici di dirigenti di strutture pubbliche che con il tanto amato sistema della corruzione fanno passare le pratiche di finanziamento per attività fittizie degli amici degli amici, controllo di attività collaterali alle pubbliche amministrazioni e tanto altro fanno da corollario non solo alle dichiarazioni di ben 28 collaboratori di giustizia ma anche a quattro anni di pedinamenti, video, ascolto presso i locali più "in" e intercettazioni telefoniche.
 
Un quadro desolante e diffuso che dimostra come a Cosenza non esista e non sia mai esistita una cosiddetta "società civile" per la legalità come, invece, ha operato in Sicilia dopo la morte di Falcone e Borsellino e persino a Scampia dove gran parte degli abitanti ( a Scampia ne risiedono in 90.000) si è ribellata alla camorra.
 
Una città dove dopo le guerre di mafie degli anni '80 e primi anni '90, concluse con il maxiprocesso "Garden" scaturito dalle dichiarazzioni dei primi pentiti, si è raggiunta nel tempo e in nome degli affari, una pax conclamata da una "confederazione" che si articola nell'unione di ben sette gruppi criminali e con la supervisione degli esponenti storici della mala cosentina.
Maxi processo "Garden" negli anni '90 nell'ex aula bunker a Cosenza
 
Una pace che, suddividendo le competenze nei  settori delle estorsioni, del mercato della droga, del riciclaggio, del gioco d'azzardo e delle tante altre attività illecite ha trasformato il contesto criminale in una moderna "mafia imprenditrice" sempre più collegata alla politica, alla parte marcia e collusa delle istituzioni. In tale contesto sarà difficile poter sperare in qualche vero cambiamento.
 
E ben poco possono fare le maxioperazioni del dott. Nicola Gratteri che ha presentato domanda per la Procura di Napoli e che si avvia a concludere la sua stagione calabrese. il "Sistema" cosentino rimarrà compatto e vincente in una città che per ben 40 anni ha sempre fatto finta di non vedere, non sentire e non parlare.
 
Una classe politica familista immobile ed immortale, una società rassegnata e incline da sempre alla cultura dell'illegalità che premia il furbo ed emargina l'onesto, termine desueto e offensivo, non consentiranno alcun cambiamento.
 
Passerà il clamore delle maxioperazioni, passerà il ricordo delle stesse in poco tempo e tutto ritornerà alla normalità. Come sempre.
Redazione

Editoriale del Direttore