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Il caso Calabria assume sempre più le dimensione di un caso sociologico, antropologico e culturale da studiare ad analizzare con grande interesse, sovvertendo le più elementari norme del vivere civile e della razionalità.

Una terra dove a differenza della Campania che con la rinascita di Scampia ha dimostrato che si può cambiare e a differenza della Primavera di Palermo si registra l'ostinazione assurda ed incomprensibile di impedire qualsiasi azione di cambiamento. Eppure i dati economici e sociali sono sempre più disastrosi, sempre più drammatici ma nel contempo non si registra alcuna protesta, alcun movimento civile degno di nota, nessun accenno di cambiamento, come, invece dovrebbe avvenire in modo naturale. I dati dell'occupazione sono semplicemente catastrofici, in poche parole il lavoro non esiste più. I giovani continuano ad andarsene altrove, la popolazione invecchia, i poveri aumentano, la sanità non funziona eppure nulla si muove. La Calabria in cinque anni, dal 2013 al 2018 la crescita del Pil è stata del 3,7%, lontanissima dal 6,1% del Sud e dal 9,5% che è il dato nazionale. Nelle 281 regioni dell'intera Europa la Calabria è al 270° posto per capacità occupazionale. Ma vi è da chiedersi se questi dati sono reali. Probabilmente sono la fotografia dei redditi dichiarati ma in realtà la situazione è ben diversa. Sui 1.850.000 abitanti "Reali" ben 770.000 sono le pensioni erogate dall'Inps. A questo si aggiungono i 106.000 percettori del reddito di cittadinanza e si aggiungono i 110.000 impiegati pubblici. Siamo a circa 1.000.000. Sottraendo i circa 300.000 minorenni e studenti rimangono altri 400.000 calabresi, fra imprenditorie, partite Iva, prenditori, evasori, faccendieri e percettori dell'immenso mondo dell'illecito fra evasione fiscale, affari sporchi, 'ndrangheta e tanto, tanto altro. Uno spaccato che potrebbe alla fine giustificare l'assenza di qualsiasi protesta e la conferma nelle urne dei soliti carnefici politici che hanno ridotto la Calabria ad un modello sociale dall'illegalità diffusa ed ambientale. Alla fine la parte migliore della Calabria è andata via, chi è rimasto si è adeguato. Il sistema pensionistico diffuso ed il reddito di cittadinanza consentono la sopravvivenza e forse per tutto questo non cambia nulla e mai nulla cambierà in futuro. L'illegalità ha vinto. Un sistema sociale di tale fattezza non ha più alcun anticorpo, non è più suscettibile di alcun cambiamento. Decenni di corruzione, di ladrocinio, di 'ndrangheta, di politici corrotti hanno trasformato radicalmente la società calabrese oramai adeguata ad essere parte integrante del sistema illegale diffuso che rende ogni anelito di libertà e legalità solo un sogno oramai irrealizzabile. Per i giovani che sono il futuro e soprattutto per i giovani volenterosi, per bene e capaci resta una sola strada che è quella che hanno già intrapreso da anni, quella di andare altrove dove ancora un minimo di meritocrazia esiste e dove ancora si può coltivare la speranza. del resto secondo una previsione dell'Istat continuando con il combinato dell'alto tasso di emigrazione ed il bassissimo tasso di natalità nel 2065 il popolo calabrese sarà di 1.400.000 abitanti con la maggioranza di ultrasessantenni. Sarà praticamente un popolo di vecchi. Ed i cambiamenti, le rivoluzioni, lo insegna la storia, non sono mai state prerogative dei pensionati. Sono i giovani che devono cambiare, proprio quelli che in Calabria sono in via di estinzione.

(nella foto giovani calabresi in partenza per le regioni del Nord)

Redazione

Editoriale del Direttore